Nato nel 1963 a Milano, dove vive e lavora.
Agli esordi della carriera espositiva di Amedeo Martegani vi è una ormai storica mostra collettiva organizzata da Corrado Levi al Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano nel 1986, intitolata Il Cangiante. Il gusto per la leggerezza, il piacere per l’avventura intellettuale, il rifiuto di ogni ideologismo, caratteristici di quel gruppo di giovani artisti raccolti attorno agli spazi della ex fabbrica Brown Boveri, si rifletteva in questo titolo, che potrebbe essere usato oggi come formula antonomastica per definire lo stesso Martegani.
Volgendoci all’indietro, il percorso delineato dell’artista milanese nell’ultimo decennio appare
infatti come un procedere per continui scarti laterali, un divagare sinuoso tra molteplici interessi, passioni, linguaggi, che si sottrae a ogni tentativo di definizione, a ogni etichetta.
Il suo operare si configura all’interno di un pensiero che rifiuta certezze e dogmi, in primo luogo quelli dell’arte.
Seguendo traiettorie personali, lontane dalle strade battute, rifuggendo dalla fissità sclerotizzante dei ruoli istituzionalizzati, Martegani si concede al mutevole e imprevedibile accendersi degli entusiasmi con spirito di chi sa che il presente non può trovare nella storia la sua giustificazione.
Non c’è medium né tecnica, non c’è soggetto, storico o attuale, che non possa e non debba passare attraverso il filtro dell’atteggiamento dell’artista: conta la bellezza, conta tutto ciò che ne fa parte, natura, etica, eleganza, disinvoltura, ma anche e soprattutto la non enfasi, la non esibizione, la non sottolineatura, e invece la ricerca e l’attaccamento al reale, dalla sua declinazione più personale, esistenziale, a quella più concreta, fattuale e sociale.
L’opera è un’occasione per un legame, che sia un racconto da seguire tra segni “tirati” da pennello o spatola, o un’analogia tra figurato e altro, che sia la domanda di un contatto diretto, di un desiderio o di un piacere condiviso. L’opera è insieme un evento e una traccia da seguire, come in natura, dove il soggetto, l’autore – come suggerisce il titolo di una sua opera del 1993: Esserci, nascondervicisi, fare capolino – senza certo sottrarsi all’esserci, non vi fa però leva per affermare un privilegio ontologico, ma per fare invece capolino. L’arte è questa pratica sospesa tra l’essere e il fare, tra l’apparire e il “far segno”.